1 Giugno 2025 Domenica dopo l’Ascensione omelia di don Angelo
E furono giorni di apprendistato
Ascensione del Signore
1 giugno 2025
omelia di don angelo
Dire ascensione è dire bellezza. E’ dire bellezza e insieme scompiglio. Ma la bellezza non ha forse di suo anche l’arte di creare emozione e quindi scompiglio?
Certo, tu dici: “portati in cielo”. Più fuori di così? E rimarresti anche tu , come i discepoli, pupille fisse a quel punto all’orizzonte, che quasi più non afferri tanto è risucchiato. Occhi rapiti in cielo dietro il Signore, a rincorrerlo, in estasi. Ed è subito scompiglio perché nel racconto c’è un rimando inequivocabile, indilazionabile, alla terra: “Quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
E gli angeli scompigliano. Anche a noi oggi, occhi risucchiati in cielo, non fanno che ripetere: “Uomini, donne, perché state a guardare il cielo?”. Cielo e terra insieme, uno scompiglio nell’ascensione.
Ma scompiglio riaccade – e non è ancora finito – sulla parola “regno”. La ritroviamo sulle labbra dei discepoli, ancora pochi minuti prima che Gesù sia elevato e una nube lo nasconda ai loro occhi: ”Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?»”. Era dura a morire quella idea del regno da ricostituire. La parola – sto fantasticando – li aveva come abbagliati dalla prima ora. Non è forse vero che le parole di Gesù dell’in principio, secondo l’evangelista Marco, furono proprio queste: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”? Il regno, il regno è vicino.
Non era dunque bastato un cammino di tre anni per allontanarli, una volta per sempre, dall’immagine dei regni alla maniera dei dominatori del mondo, per condurli a quel cartello fisso al legno della croce, “Gesù re dei Giudei”, sopra braccia allargate. Forse la risurrezione, che sapeva di vittoria, aveva ridestato rigurgito di vecchi pensieri? Come sarebbero stato i giorni a venire? Trionfi?
Ma il Maestro non si smentiva: lui, che aveva associato regno di Dio a convertirsi e a credere al vangelo, un’ora prima di andarsene, lega l’avventura del regno di Dio a un’altra forza, la forza dello Spirito e alla bellezza della testimonianza. Si apre un tempo nuovo ed e questo, e via le maschere del dominio e del potere. Gesù è esplicito su dove sarà la nostra forza: “Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”. La forza dello Spirito Santo… e fino ai confini della terra.
E splendevano in tutta la loro palese stupefacente sproporzione le parole del Maestro, da far rabbrividire persino le pareti della stanza al piano superiore o il soffitto senza pareti del cielo sopra Betania: una vistosa accecante sproporzione. Che è anche la nostra. Pensateli in ritorno da Betania, undici, per lo più pescatori e dove arrivano i confini della terra? E la testimonianza? Consegnata a quelli che la notte del tradimento si erano dileguati. E la forza? Che scompiglio. Ecco, la forza, ecco qui la sorpresa: la forza nei giorni in cui il Maestro più non lo vedi – e sono anche i nostri – è lo Spirito. Fu così all’in principio, e poi ancora e poi a tratti, ma solo a tratti quando nei secoli ancora ci si diceva che non c’era motivo di temere, che la forza era lo Spirito e che a noi toccava la testimonianza. Che è ben più delle parole. Poi si cominciò a sospettare che la forza della chiesa, dei credenti, stesse nel contare, nell’avere l’ultima parola, nella cattura del consenso, nell’avere mezzi e potere, nelle strategie e astuzie mondane.
Eppure pensate alla potenza di quella icona: gli undici di ritorno da Betania, dal monte da dove l’avevano visto salire, entrano in città salgono alla stanza al piano superiore. E Luca fa i nomi, sono undici. Chissà se per dire che erano un piccolo seme, e che non ti spaventi piccolezza e aggiunge: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui”. Non ti spaventi piccolezza purché sia chicco di senapa: sarà albero per prodigio della linfa dello Spirito.
La nostra forza è lo Spirito; e la testimonianza, amarci come Gesù ci ha amati, perché da questo ci conosceranno. Ce lo ha ricordato papa Leone la prima sera, quando ci disse: “La Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù”.
E ora vi lascio con uno dei miei pensieri spensierati: per alcune fonti ci furono quaranta giorni dopo la risurrezione, per altre fu ascensione subito la sera. Poi lo vedono, poi non le vedono e dove è quando non lo vedono? Eppure dove c’è una donna che piange o altre tristi che cercano, su una strada che sa di tramonto o nel vociare chiassoso allegro di una locanda a Emmaus, in una sera di smarriti in una stanza al piano superiore in Gerusalemme o in vista di una barca di pescatori che grida il vuoto o su sabbie di litorale che odorano di pesce arrostito, lo riconoscano o no, lui c’è.
Per quaranta giorni così: lo vedono, poi non lo vedono. E mi prende uno strano pensiero che lui abbia voluto quei giorni quasi come un sorte di apprendistato. Per dire che lui sarebbe stato presente anche quando non l’avrebbero più visto. E che nel loro lungo viaggio, che poteva essere chiamato testimonianza, lo rendessero presente, ora che si era fatto invisibile, amando. Ma con gesti concreti.
E non dire mai “è poco” se è quel poco che puoi. In faccia al mondo. Ci sei tu. E lui con te, con noi, in questa nostra terra, questa e non altra.
Gli occhi al cielo. Facciamo ritorno in città.
Letture
Prima lettura At 1,1-11
Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Salmo Sal 46
Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.
Seconda lettura Eb 9,24-28;10,19-23
Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.
Vangelo Lc 24,46-53
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.