11 Maggio 2025 4a Domenica di Pasqua – Omelia di don Angelo
Ho sognato: ho sognato che questa diventi strada
Quarta domenica dopo Pasqua
11 maggio 2025
omelia di don Angelo
Ascolto. E vorresti riascoltare le parole, ma ad una ad una, come quando leggi e le parole sono di chi ami e allarghi lo spazio bianco tra parola e parola. Se per esempio leggessimo così: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Ci sarebbe da starci una vita! Ed è suggestione unica pensare quanto queste parole, comee altre, prendano colore e intensità dal luogo, dall’ora, dal momento in cui accadono. Al punto da inumidire gli occhi: il luogo, la stanza al piano superiore a Gerusalemme; l’ora, l’ultima cena di Gesù. Quella sala grande e addobbata l’aveva voluta lui per l’ultima sua cena. Al padrone di casa i discepoli avrebbero dovuto dire che lì il Maestro avrebbe desiderato fare la Pasqua con i suoi discepoli. Un desiderio, tutto pronto per la cena. Forse in un angolo era rimasto abbandonato un catino e poco discosto un asciugamano. Senza che lo immaginassero erano diventati reliquia e icona ad un tempo per ogni discepolo. Perché Gesù, prima di parlare – e forse dovrebbe essere sempre così – aveva voluto dare accensione incancellabile alle parole con un gesto: “Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto”. Li invitò a fare questo in sua memoria. Pensate quanto desiderio in lui che gesto e parole non si scolorissero nel tempo, parole che tengono tutto il nostro brano, la parola amore, la parola amicizia, il verbo amare. A ogni riga. E subito ad incantarci è la ragione della consegna di queste parole su cui brevemente poi sosteremo. Ascoltate: “ Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Che cosa sta a cuore a Gesù? A Dio sta a cure la nostra gioia e non una briciola, quasi invisibile; che sia piena. Se chiedessimo a bruciapelo a qualcuno: “Secondo te che cosa sta cuore a Dio, alla chiesa? La risposta sarebbe: “la nostra gioia”? Tra le cose di cui dobbiamo chiedere perdono penso ci sia anche questa. che non sempre noi e i nostri o ambienti brillano per la gioia, che è leggera, spontanea; a volte denunciano pesantezza, noia, abitudine. Ho visto gli occhi riempirsi di gioia in piazza san Pietro e ho sognato che piazza san Pietro non fosse solo Roma. Come mi prendesse desiderio di restituire alla fede il volto della gioia. E perché ci sia gioia, perché la gioia sia in pienezza ecco una consegna, quella dell’amore, che è un traboccare e un rimanere. Un traboccare: dal Padre nel Figlio, dal Figlio in noi. Uno scorrere d’acqua dell’amore. Come accade per l’acqua dei ruscelli. Vedi amore e sai che c’è una sorgente lontana. A volte vai, con il tuo pensiero e il tuo cuore, alla sorgente lontana e ringrazi il traboccare. E’ stato suggestivo che Papa Leone ce lo abbia ricordato proprio nelle sue prime parole: “Dio ci ama tutti, incondizionatamente”. Dio ama tutti. E fa sorgente di un amore per tutti. Traboccare dell’amore. E poi la consegna a rimanere nell’amore, farlo diventare una dimora: è la tua dimora, tu sei di quella casa li, respiri quell’aria, tu sei uno che ama. Gesù aggiunge una sfumatura, quella dell’amicizia, anche questa è una parola imperdibile. “Non vi chiamo più servi, vi ho chiamato amici”. L’aveva detto lavando loro i piedi e lasciando il gesto come una icona e una consegna: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi …Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”. Ora sappiamo da dove vengono gioia e beatitudine. “Non servi ma amici”: questa è una rivelazione e una rivoluzione. Il Figlio di Dio non ha trattato nessuno come schiavo, ha avuto sguardi, sguardi di amorevolezza con tutti. Non ha cancellato amorevolezza dai suoi occhi mai, neppure con Giuda, chiamandolo amico mentre lui nella notte lo sfiorava al viso con un bacio a tradimento. Ha cancellato la parola schiavo. Non fare di nessuno uno schiavo, non creare dipendenti, crea donne e uomini liberi. Perchè creare dipendenti, dominare subordinare donne e uomini, terre e nazioni, creato e istituzioni e avere la spudoratezza di usare la parola amore è sacrilegio. Servire è verbo che ha una sacralità ingualcibile, a un patto, a patto che faccia rima con la lucentezza del rispetto, dell’onore, della valorizzazione, vissuti come respiro e passione di singoli e di comunità. Questa la via per dare un futuro alla chiesa. La via -che ha preso nome in questi anni con una parola antica, ma da reinventare la parola “sinodalità”, che evoca un camminare insieme, parola che ho risentito con gioia dalle labbra di Papa Leone nelle sue prime parole dalla Loggia: ”Ancora conserviamo, nelle nostre orecchie, quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco, che benediva Roma. Il Papa che benediva Roma, e dava la sua benedizione al mondo intero, quella mattina, nel giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà: siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi, andiamo avanti” Ho visto il Papa commuoversi,ho visto i suoi occhi inumidirsi, ho visto un chinarsi alla sua fragilità. Ho visto la piazza rispondergli quasi incoraggiandolo, uniti mano nella mano. Oggi sono andato, quasi per un’assonanza, alle parole colme di affetto di Paolo nella sua lettera ai Filippesi, a quelle colme di commozione di coloro che lo ospitarono nel viaggio verso Gerusalemme nella casa di Cesarea e da vecchio prete ho sognato: ho sognato che questa diventi strada per un futuro di una chiesa che cammina nel mondo.Letture
LETTURA At 21, 8b-14 Lettura degli Atti degli Apostoli In quei giorni. Entrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani». All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme. Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». E poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».