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Chiesa di Santa Maria della Passione

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Chiesa di Santa Maria della Passione

Chiesa di Santa Maria della Passione

(Da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

File:2964MilanoSMariaPassione.jpg

La chiesa di Santa Maria della Passione è un luogo di culto cattolico di Milano

Fa da sfondo scenografico alla via della Passione, sita poco lontano da San Pietro in Gessate e dal palazzo di giustizia, ed è uno dei più bei monumenti del tardo Rinascimento milanese.

Storia

La prima parte ad essere costruita fu quella terminale, costituita da un tiburio ottagonale cui erano collegate otto cappelle, alternativamente a pianta semicircolare o rettangolare (1486). Il primitivo impianto forse concepito da Giovanni Antonio Amadeo, ma realizzato da Giovanni Battagio, era quindi centralizzato, come in molti santuari mariani della Lombardia rinascimentale.

Di seguito Cristoforlo Lombardo, detto il Lombardino edificò il tiburio, con le sue consuete e sobrie linee classicistiche.

Dal 1573, su istanza di Carlo Borromeo, l’edificio fu trasformato in un impianto longitudinale, più adatto alla predicazione. Furono così aggiunte le navate, ad opera di Martino Bassi e la facciata barocca (XVII secolo).

La facciata

Il completamento della facciata venne avviato alla fine del XVII secolo dallo scultore Giuseppe Rusnati, al quale sono dovute le sculture ed i rilievi che oggi si possono vedere, ispirati agli episodi della Passione di Cristo. Il completamento della parte alta non fu mai portato a termine e l’attuale è costituito da semplici basi con pianta a croce greca. La facciata, divisa in cinque campi, con i due laterali più bassi rispetto ai tre centrali, da semipilastri tuscanici, è decorata da bassorilievi marmorei. Sopra il portale centrale si trova la Deposizione di Cristo e, sopra il frontone di quest’ultimo, due statue di angeli. Sopra i portali laterali si trovano due ovali, uno con il Profilo di Cristo, sopra il portale di sinistra, e l’altro con il Profilo della Vergine, sopra il portale di destra. Sopra le lunette soprastanti i portali laterali, vi sono Cristo alla colonna, sopra la lunetta di sinistra, e l’Incoronazione di spine, sopra la lunetta di destra.

La cupola

Il complesso monumentale della tribuna, culminante con la cupola rivestita da un tamburo ottagonale, è attribuito al lodigiano Giovanni Battagio. All’esterno, il tamburo è rivestito da semicolonne su due ordini, tuscanico e ionico, alternate a nicchie e finestre, con decorazioni in cotto. Così come la tribuna di Santa Maria delle Grazie, che veniva edificata negli stessi anni da Bramante per collocarvi sotto la cupola, al centro, i monumenti funerari di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, anche la tribuna della Passione aveva inizialmente destinazione funeraria, in quanto nel mezzo della tribuna era originariamente collocato il mausoleo dei fratelli Daniele e Francesco Birago, oggi trasferito in una cappella laterale. Daniele Birago, consigliere ducale sforzesco e arcivescovo di Mitilene, fu il principale finanziatore della prima fase dei lavori della basilica.

Interno

Le tre navate della chiesa non erano previste dal progetto originario del Battagio, che era invece articolato a pianta centrale. Furono aggiunte nella seconda metà del Cinquecento dagli architetti che si succedettero nella direzione del cantiere, i seregnesi Vincenzo Seregni e Martino Bassi, quest’ultimo allievo e successore del precedente.

Navata principale

Affreschi di Galberio, eseguiti alla fine del Cinquecento con delicati toni di grigio e oro, ricoprono la volta a botte. Sui pilastri, tele ottagonali attribuite a Daniele Crespi e alla sua scuola, raffiguranti a mezza figura santi e personaggi celebri dell’Ordine Lateranense, un tempo nel refettorio del convento.

Cappelle delle navate laterali

1a Parte

2a Parte

Prima cappella

Fuga in Egitto e Bottega di Nazareth, tele di Tommaso Formenti, XVII secolo.

Terza cappella

Flagellazione, tela di Giulio Cesare Procaccini. La tela, posta sull’altare maggiore della cappella, proviene dallo scomparso monastero di Santa prassede. Essa viene riferita dai critici alla prima fase artistica del Procaccini, di impronta tardomanierista, con una datazione al primo decennio del Seicento. In particolare la composizione, centrata sulla torsione della figura centrale del Cristo, contrapposta alle imponenti figure dei due aguzzini, risulta caratteristica del tardomanierismo lombardo di cui il pittore, con il fratello Camillo, era a quel tempo fra i maggiori esponenti. La forte carica drammatica ed emozionale, e il dinamismo plastico della scena, preludono invece agli sviluppi barocchi della loro arte[1].

Giulio Cesare Procaccini
Cristo alla colonna

Quinta cappella

Madonna della Passione, affresco quattrocentesco. L’affresco ospitato sull’altare maggiore proviene dalla chiesetta abbattuta alla fine del Quattrocento per far posto all’attuale costruzione. L’immagine venne restaurata e ridipinta nei secoli successivi.

Ottagono centrale

Incoronazione di spine, sull’esterno delle ante dell’organo a destra, Flagellazione ed Ecce Homo, sull’interno delle ante, di Carlo UrbinoLavanda dei piedi sull’esterno delle ante dell’organo a sinistra, Crocefissione e Deposizione sull’interno delle ante, Capolavori di Daniele Crespi.

Cappella Taverna

La decorazione di questa cappella, che costituisce il transetto di destra, fu voluta dal gran cancelliere Taverna, appartenente ad una delle famiglie di spicco dell’aristocrazia milanese. Il ciclo pittorico che si svolge sull’arcone d’ingresso, sulla volta e sulle pareti fu commissionato nel 1560 al pittore cremasco Carlo Urbino, autore degli affreschi e delle figure e cornici a stucco che li contornano, dai tipici motivi manieristi. Al centro dell’arcone d’ingresso si trova lo stemma gentilizio dei taverna, che ha nei due quarti un cane d’argento abbaiante contro una stella d’oro; Al suo fianco, i primi episodi del ciclo della Passione, La resurrezione di LazzaroLa cacciata dei mercanti dal tempioLa cacciata da Nazareth e La Maddalena. Seguono poi nei quattro riquadri della volta, contornati da delicate figure angeliche, L’orazione nell’ortoLa catturaGesù davanti a Pilato e La salita al Calvario. Il ciclo si conclude nel catino absidale con gli episodi La resurrezione e Noli me tangere.

L’ancona con la  Deposizione, ospitata sull’altare, proviene dall’altare maggiore della chiesa, da dove fu tolta nel XVII secolo quando venne costruito quello attuale a marmi policromi. La tela è ospitata all’interno della monumentale cornice lignea cinquecentesca originale. La predella è decorata con i santi Piero e Paolo, ai lati, storie del ritrovamento della Vera Croce, mentre lo scomparto centrale fu oggetto di un recente furto. Due colonne a motivi vegetali sorreggono il timpano spezzato con la cimasa che ospita il Cristo risorto. La tela centrale con la deposizione dalla croce è attribuita al poco noto Bernardino Ferrari, del quale costituisce l’opera più importante pervenuta fino a noi. Il dipinto fu per molti anni attribuito a Bernardino Luini; sono affini ai modi del pittore luinese l’impostazione classica, la delicatezza della caratterizzazione delle figure, mentre il paesaggio sullo sfondo con la città turrita ricorda i misteriosi sfondi del Bramantino[2].

Ai quattro pilastri della cappella, tele con i dottori della chiesa Greca (Gregorio NazianzenoGiovanni CrisostomoBasilio), di autore ignoto, mostrano una qualità nettamente inferiore alle altre quattro tele della cappella di fronte che ne completano la serie.

Transetto sinistro

L’altare principale ospita l’Ultima cena, capolavoro della maturità di Gaudenzio Ferrari, l’opera più celebre custodita nella basilica. Il dipinto fu molto apprezzato già dai contemporanei, che ne lodarono la maestà delle figure e il naturalismo delle espressioni, mostrando di sostenere bene l’impegnativo confronto con il Cenacolo Vinciano di Santa Maria delle Grazie, di cinquant’anni precedente. Essa è anche l’unica opera di Gaudenzio citata dal Vasari nelle sue vite, con toni lusinghieri:

«fece […] a’ frati della Passione un cenacolo bellissimo, che per la morte sua rimase imperfetto.»
(Giorgio VasariLe vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori,edizione torrentiniana, 1550 e 1568)

Numerose copie ne vennero eseguite nel tempo; a Milano è custodita in San Nazaro quella del Lanino. L’opera, oltre che distinguersi per la ricerca fisiognomica e psicologica delle figure, sulla scia vinciana, è caratterizzata anche dal curioso sfondo con l’improbabile edificio a pianta centrale, che ricorda le opere di Bramantino[3]. La monumentale cornice dorata è l’originale, commissionata insieme al dipinto dal priore Aurelio da Milano nel 1544.

Lo stesso argomento in dettaglio: Ultima Cena (Gaudenzio Ferrari).

Sono altresì notevoli, nella medesima cappella, le quattro tele di Giuseppe Vermiglio con I quattro dottori della Chiesa, di impronta caravaggesca.

Abside

L’abside ospita il coro con ventinove stalli intarsiati attribuito a Cristoforo solari, due tele con La Resurrezione e L’Ascensione, e L’Incoronazione della Vergine, affresco nel catino absidale di Panfilo Nuvolone raffigurante la Vergine incoronata dalla trinità, attorniata da quattro profeti e quattro sibille. Questi ultimi rappresentano i temi che costituiscono la conclusione del ciclo della passione, quale vittoria sul dolore e sulla morte[4].

L’altare fu rifatto nel Seicento, quando venne spostata la pala con la deposizione oggi nel transetto destro. Esso è un’opera barocca, costituita da un paliotto decorato da pietre dure e marmi policromi, sormontato da un tempietto ornato da medaglioni in onice dipinti dal Cerano e da Giulio Cesare Procaccini[5].

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