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18 Febbraio 1a Domenica di Quaresima Omelia di don Angelo

ArteMusicaPoesia

18 Febbraio 1a Domenica di Quaresima Omelia di don Angelo

L’alto e il basso

Prima domenica di quaresima

18 febbraio 2024

omelia di don Angelo

L’alto e il basso. Che sia questa la scommessa? Anche la scommessa della quaresima? Tenere insieme l’alto e il basso e fare un modo che si raccontino e in qualche modo si tocchino. Vi confesso che la suggestione mi è venuta dalle prime parole del brano di Isaia: “In quei giorni. Isaia disse: «Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”. Abita un luogo alto ed eccelso; ma dimora, è, anche, con gli oppressi. Che bello che l’alto di Dio non significhi distanza: è un alto che tocca. E io vedo Gesù.

E se la quaresima fosse un guardare in alto e un chinarci verso il basso?

So che è una suggestione solo di superficie – uno dei miei soliti sconfinamenti –:  ho ritrovato l’aggettivo alto anche nel racconto delle tentazioni di Gesù: “Il diavolo lo pose sul punto più alto del tempio”. E ancora: “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”. Alti i luoghi. Alte anche, dal suo punto di vista, le proposte del tentatore. Ma non è significativo, non dice nulla, il fatto che  siano scomparsi dall’orizzonte gli umili e gli oppressi? E non sarà già questa una spia per mettere qualche dubbio sulle immagini di ‘alto’, proposte dal diavolo o – se volete – dai mille incantatori del mondo? “Alto tu”: così propone il diavolo!

Starei per dire: un falso ‘alto’. che  non ci fa chinare sui miseri e su gli oppressi, ma li abbassa. Il racconto delle  tentazioni, in un midrash di Matteo, ce ne mette in guardia. Di conseguenza la quaresima potrebbe essere un’occasione per verificare a chi e a che cosa noi diamo nome di alto nella vita. “Non nominare il nome di Dio invano” è scritto nelle dieci parole. Potremmo – perdonate – forse trascrivere  così: “Non nominare il nome di ‘alto’ invano”.

Diamo un nome di menzogna all’alto se lo usiamo quando per alto intendiamo poter approfittare della propria  posizione per favorire un proprio interesse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane. Le scorciatoie; e non la strada di tutti, che il proprio pane se lo guadagnano lavorando. Diamo un nome di menzogna all’alto se per alto intendiamo mettere in causa Dio, venendo meno al nostro dovere di pensare, di scegliere, di decidere, di prenderci le nostre responsabilità, ci penserà Dio: “Gettati, ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”.  Diamo nome di menzogna all’alto quando per alto intendiamo: dominare e sottomettere. Esistiamo solo noi, gli altri sono bassi; e anche se ci guardiamo di chiamarli tali, come bassi li trattiamo: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai. Pensate quanto siano state vere nei secoli  e come ancora oggi siano attuali queste parole: gettarsi ai piedi di qualcuno, per avere cose, successo, fama.

Per questo è prezioso un tempo in cui verificare dove vanno i nostri occhi, i nostri  pensieri,  dove mettiamo l’alto. I valori alti: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” Abbiamo bisogno di parole alte, che vengano dall’alto e incrocino l’anima e la terra, che ci dicano quando siamo vivi e quando siamo morti, che svelino la vera grandezza, la vera dignità, quella di figli, la vera nobiltà della vita. In un tempo in cui non sappiamo più nominare le cose, in giorni in cui, nominandole con il loro nome, il rischio è quello di essere incompresi o respinti, penso sia importante aprire a noi e agli altri la domanda: che nome do a questo che penso, a questo che faccio, a questo che vedo, a questo che ascolto? C’è l’alto di Dio, della sua parola, c’è l’alto dei pensieri umani, c’è la salvezza vera dell’umanità? C’è il chinarsi sugli oppressi e gli umiliati come ci è stato detto nel brano di Isaia: ”In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”? Sottolineo i verbi: ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi.

Vi devo confessare che ancora una volta mi risuonano, quasi a commento, le parole di un cosiddetto ateo, Luigi Pintor, scriveva: “Non c’è in una intera vita cosa più importante che chinarsi, perche l’altro, cingendoti al collo, possa rialzarsi”.

Oggi, ricevendo sul capo le ceneri, ci sentiremo dire “convertitevi e credete al vangelo”. Vorrei legare questo bisogno di una revisione della vita a una parola ‘conversione’ che oggi ci sentiremo proporre ricevendo sul capo le ceneri: “Convertitevi e credete al vangelo”. Anche le parole “conversione”, “convertirsi” il tempo le ha come impolverate. Ecco come ce le restituisce uno stimato biblista spagnolo José Antonio Pagola: “ Per cominciare il verbo greco che si traduce con «convertirsi» in realtà significa «mettersi a pensare», «rivedere l’orientamento della nostra vita», «rivederne la prospettiva». Le parole di Gesù potevano suonare così: «guardate se non c’è qual cosa da rivedere e da correggere nel vostro modo di pensare e di agire perché possa compiersi in voi il progetto di Dio di una vita più umana». Se accade questo, la prima cosa da fare e vedere quello che blocca la nostra vita. Convertirci vuol dire «liberare la vita» eliminando paure, egoismi, tensioni e schiavitù che ci impediscono di crescere in un modo sano e armonioso. La conversione che non produce pace e gioia non è autentica: non ci sta avvicinando al Regno di Dio”.

Le Letture

LETTURA Is 57, 15 – 58, 4a

Lettura del profeta Isaia

In quei giorni. Isaia disse: «Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò’”. I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. “Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: “Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi».

Commento al filmato: «In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi.»– queste parole dell’Altissimo nella profezia di Isaia, sono cantate dalle note solenni, maestose, del Pianoforte nella “Variatio 30” da “Variazioni Goldberg” di Bach; – ma l’ira del Signore è proclamata dalle note tempestose, quasi rabbiose nel tempo “Presto”del Concerto (Sinfonia) in Re Magg di Vivaldi: «Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato;»– ma il Signore manifesta la Sua Misericordia: «Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni.»– le armonie dolcissime, adoranti, del tempo “Adagio”del Concerto per Organo in Fa Magg. di Händel, illuminano queste parole dell’Amore di Dio; – nell’ultima parte della Lettura, lo spettacolare, tempestoso “Finale-Presto” della Sinfonia in Fa min “La Passione” di Haydn, canta con toni severi l’ira del Signore per il peccato del Suo Popolo:

«I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. «Non c’è pace per i malvagi», dice il mio Dio.»

SALMO Sal 50 (51)

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro. R

Sì, le mie iniquità io le riconosco,

il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato,

quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R

Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,

nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.

Distogli lo sguardo dai miei peccati,

cancella tutte le mie colpe. R

Commento al filmato: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore» sono le parole angosciate del salmo che il re Davide, penitente,  canta dopo aver peccato con Betsabea; le note dolenti, adoranti del Pianoforte nello splendido “Adagio con Espressione” della Sonata in Mi di Beethoven, esprimono con grande intensità l’angoscia e il pentimento del salmista per la colpa commessa ma, sull’ultimo versetto, si aprono alla speranza del Perdono:

«Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.»

EPISTOLA 2Cor 4, 16b – 5, 9

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

Commento al filmato: le armonie struggenti generate dalla Ghitarra nell’Andantino Espressivo-più Mosso” dello splendido “Preludio” in Mi min di Hector Villa-Lobos, sembrano provenire dall’Infinito per riportarci nell’Eterno:

«noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.»

VANGELO Mt 4, 1-11

✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Commento al filmato:le armonie arcane, aspre, del tempo “Massig Bewegt (“Ach Gott, wem soll ich’s Klagen”)”nella “Sonata III per Organo (su un canto popolare)” di Paul Hindemith, raccontano l’assalto furibondo ma suadente del tentatore sino alla sua cacciata finale:

«Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».

                   SENTIRE LA CHIAMATA ALLA CONVERSIONE

«Convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino». Che possono dire queste parole a un uomo e a una donna dei nostri giorni? Una chiamata alla conversione non è attraente per nessuno. Pensiamo subito ad una cosa difficile e poco piacevole: una rottura che ci porterebbe ad una vita poco attraente e desiderabile, piena di sacrifici e rinunce. È veramente così?

Per cominciare il verbo greco che si traduce con «convertirsi» in realtà significa «mettersi a pensare», «rivedere l’orientamento della nostra vita», «rivederne la prospettiva».

Le parole di Gesù potevano suonare così: «guardate se non c’è qual cosa da rivedere e da correggere nel vostro modo di pensare e di agire perché possa compiersi in voi il progetto di Dio di una vita più umana».

Se accade questo, la prima cosa da fare e vedere quello che blocca la nostra vita. Convertirci vuol dire «liberare la vita» eliminando paure, egoismi, tensioni e schiavitù che ci impediscono crescere in un modo sano e armonioso. La conversione che non produce pace e gioia non è autentica: non ci sta avvicinando al Regno di Dio.

Dobbiamo poi rivedere se curiamo bene le radici. Le grandi decisioni non servono a nulla se non ci occupiamo delle fonti. Non c’è chiesta una fede sublime né una vita perfetta; soltanto che viviamo fidandoci dell’amore che Dio ha per noi. Convertirci non vuol dire sforzarsi di essere santi, ma imparare ad accogliere il Regno di Dio e la sua giustizia. Soltanto allora potrebbe iniziare in noi una vera trasformazione.

La vita non è mai pienezza né esito totale: dobbiamo accettare l’«incompiuto», quello che ci umilia, quello che non possiamo correggere. Quel che conta è mantenere il desiderio, non cadere nello scoraggiamento. Convertirci non vuol dir vivere senza peccato, ma imparare a vivere del perdono, senza orgoglio né tristezza, senza alimentare l’insoddisfazione per quello che dovremmo essere e non lo siamo. Così dice il Signore nel libro del profeta Isaia: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza» (30,15.)

José Antonio Pagola

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