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2023-09-24 4a Domenica dopo il Martirio – Omelia di don Angelo

ArteMusicaPoesia

2023-09-24 4a Domenica dopo il Martirio – Omelia di don Angelo

Anche lui un pane disceso dal cielo

Quarta domenica dopo il martirio

24 settembre 2023

omelia di don angelo

 

A dire il vero era stara una giornata piuttosto movimentata, dico quella che precede il nostro racconto. Tra giorno e notte, tra monte e lago, di cose ne erano successe. Sul prato verde del monte le folle si erano perse a lungo ad ascoltare  il Rabbi di Nazaret, poi lo videro prendere tra le mani la sproporzione, cinque pani e  due pesci di un ragazzo, recuperati da una frettolosa ricognizione.  Lo videro alzare gli occhi a ringraziare e fu condivisione totale e festa tra cinquemila.

Il primo poi  a eclissarsi sul monte fu Gesù; e a sera tardi  a loro volta a dileguarsi furono  i discepoli scesi dal monte per raggiungere barche, già prese da buio a riva. Non era finita, in pieno lago, piena notte, ecco una tempesta di acqua e di vento. Li raggiunse il Maestro, che erano immagine della paura e fu subito acquietamento di acque e approdo a Cafarnao.

Il giorno dopo – ed è il nostro – le folle, rimaste dall’altra parte del mare, come per fiuto puntarono verso Cafarnao: là secondo loro dovevano essere approdati,  là li raggiunsero.

La loro prima domanda, quando lo rintracciano, suona strana: “Rabbì, quando sei venuto qua?”.  “Gesù rispose loro…”. In verità non risponde, quasi il loro fosse un tanto per dire, quasi facessero una questione di ore quando la questione su cui interrogarsi era ben altra.

E forse non è un dettaglio che Gesù ignori la domanda-spreca-tempo. Immaginate che cosa succederebbe, se Gesù mettesse piede in alcuni nostri dibattiti, discussioni che brillano per la loro superficialità, irrilevanza, inconsistenza? Non sprecherebbe nè tempo nè parola.

Va dritto alla questione, sentite: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Come a dire “Non vi siete interrogati sul segno dei pani; e ora non vi interrogate sul desiderio che vi porta spasmodicamente a cercarmi”. Ecco il punto: Interrogarsi sul desiderio. Dove vi porta il pane spezzato sull’erba verde? A cercare chi, a cercare che cosa? Sul monte Gesù aveva d’un lampo intuito che già fremevano nell’illusione di avere trovato un re da incoronare. Un Messia che trasformasse in pane le pietre. Come lo voleva il tentatore nel deserto: “Di’ che queste pietre diventino pane”.

Non che non gli interessa del pane: dopo tutto era stato proprio lui a preoccuparsene sul monte. Ma è brutto – sensazione brutta – quando ti senti cercato solo per un fine economico o per un vantaggio personale  o per una idea ristretta che si son fatta di te. Brutta sensazione. Non approdano al cuore. Colgono una minima parte di te. All’opposto quella parte di te, quella che tiene i tuoi pensieri più intimi, i più preziosi e più amati, non la sfiorano. Le folle erano rimaste al pane.  Lo pensavano come uno che potesse dare del pane; ma che fosse lui pane no, proprio non ci arrivavano. E tocca a lui dirlo. E accade scompiglio: è la fine di un mondo per chi la religione la  misura a suon di miracoli. Per loro Mosè ne ha fatti di più. Allora gli dissero:  «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come

sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Impermeabili ad aprire orizzonti. Erano rimasti alla manna. Ma che cosa può inventare Dio?

Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?

E questa, sì, era la novità: che lui fosse disceso dal cielo, e non minaccioso come grandine o tempesta, ma sceso come pane. Alla domanda che abbiamo incrociato nei vangeli alcune domeniche fa “E voi chi dite che io sia?”, oggi potremmo rispondere: “Tu sei pane, pane disceso dal cielo”. E la sensazione che proviamo è che con Gesù la parola “pane” si allarghi all’infinito. Ebbene sì, raccontando del pane, ci potremmo forse accorgere che stiamo raccontando insieme di Gesù. Potrebbe forse essere un esercizio di fantasia, di fantasia dell’anima.

Ii pane che prima  è nel pensiero, il pane, che è congregazione di semi e macinatura, il pane che ha in se la compagnia nascosta dell’acqua e il brivido del lievito, il pane che non è un‘d’improvviso ma conosce l’attesa delle ore. Il pane che è umiltà di una tavola; che fa rumore, ma lieve, quando viene spezzato e quasi non si sente. E poi accadono trasfigurazioni: diventa vita

“l pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”: riascoltate questa parola di Gesù, è di una bellezza unica. Fate sosta al presente del verbo: “Dà la vita”, la nutre oggi. Perché una vita senza orizzonti ingrigisce

E poi emozione per l’ampiezza: “dà la vita al mondo”, a cuore ha la vita del mondo, e non di un piccolo orto chiuso. Guardiamoci dalle parole che odorano di ristrettezza e di indifferenza, hanno odore di morte e non di vita. Abbiamo bisogno di respirare altre parole, altre immagini, altri gesti. In questi giorni un’immagine ci ha commossi come una grazia.

Siamo in un deserto tra Libia e Tunisia,  peregrinazioni incontenibili a rischio di morte. Su mappe sconfinate di sabbia  ecco quasi un nulla, un puntino minuscolo, sperduto, un bambino di tre anni, senza un nome. A intravederlo, tra piaghe dolenti di fatica, un ragazzo diciottenne africano, lo vede, gli si fa compagno di viaggio. Non se lo staccherà di  dosso  sino all’approdo  a un’isola. E fu pane.  Penso di non sconsacrare l’immagine – ma se mai di consacrarla – chiamando anche lui “pane disceso dal cielo”. Per la vita del mondo.

Le Letture

LETTURA Is 63, 19b – 64, 10

Lettura del profeta Isaia

In quei giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: «Se tu squarciassi i cieli e scentto tempo.La questiome è un’altra edè la questione. dessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte».

Commento al filmato: le note imponenti, tumultuose, del “Finale-Allegro” dalle Variazioni Enigmadi Elgar descrivono con grande realismo questa drammatica Profezia di Isaia, «Se tu squarciassi i cieli! Nessuno ha mai udito che un Dio abbia fatto tanto.»

 

SALMO Sal 76 (77)

Vieni, Signore, a salvare il tuo popolo.

Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore,

nella notte le mie mani sono tese e non si stancano;

l’anima mia rifiuta di calmarsi.

Mi ricordo di Dio e gemo,

medito e viene meno il mio spirito. R

 

Ripenso ai giorni passati,

ricordo gli anni lontani.

Un canto nella notte mi ritorna nel cuore:

medito e il mio spirito si va interrogando. R

 

Forse il Signore ci respingerà per sempre,

non sarà mai più benevolo con noi?

È forse cessato per sempre il suo amore,

è finita la sua promessa per sempre? R

 

O Dio, santa è la tua via;

quale dio è grande come il nostro Dio?

Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio,

i figli di Giacobbe e di Giuseppe. R

Commento al filmato: il Salmo 76/77 (qui riprodotto interamente) è cantato nel filmato in due parti che ci trasmettono emozioni contrastanti; nella prima parte, quella del Responsoriale, le armonie dolenti ma confidenti del Concerto di Vivaldi, cantano con straordinaria passione l’angoscia del salmista che si sente abbandonato da Dio (questa angoscia è misteriosamente simile a quella di Gesù sulla Croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!) – nella seconda parte, il Violino della Partita di Bach, esplode con note gioiose, spumeggianti in un canto di esultanza per l’onnipotenza e la Gloria del Signore: «O Dio, santa è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio? Tu sei il Dio che opera meraviglie, manifesti la tua forza fra le genti.»

EPISTOLA Eb 9, 1-12

Lettera agli Ebrei

Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.

Commento al filmato: le note maestose, imponentidelle Trombe, dei Timpani e degli Archi dello spettacolare brano “La grande Porta di Kiev” da “I Quadri di un’Esposizione” di Mussorgsky ci danno una grande emozione nella lettura di questa Epistola che descrive la potenza dell’irruzione di Dio nella storia dell’Umanità, prima con l’edificazione della “Tenda del Convegno” da parte di Mosè, poi con la venuta di Cristo: «Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.»

 

VANGELO Gv 6, 24-35

✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Quando la folla vide che il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Commento al filmato: il bellissimo “Andante Ecossaise” dalla “Suite Paysanne” di Bela Bartok, esprime con armonie dolcissime la grande tenerezza di Gesù che si dona all’Umanità pur nel dolce rimprovero dei Giudei che non lo comprendono sino a che, alla loro richiesta: «Signore, dacci sempre questo pane»risponde con la straordinaria affermazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 

 

 

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